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  • Photo du rédacteurMario Salis

L'inferno del Donbas


"Mio marito è morto nel sonno, poco prima dell'invasione, ed è stato fortunato perché così non ha visto questo inferno".


Donbas, dove tutto è nato. Nel marzo e aprile scorsi, decine e decine di migliaia di persone avevano cercato una via d'uscita dalla regione dell'est che Mosca voleva, e vuole ancora, conquistare. Oggi le città del Donbas sono quasi o del tutto svuotate. Non solo quelle sulla linea del fronte, ma anche quelle poste nelle retrovie. Via i civili, sono arrivati i militari. Sulle strade che collegano le due principali città della regione sotto il controllo di Kyiv, Kramatorsk e Sloviansk, sono più i mezzi dello Zsu, l'esercito ucraino, di quelli civili. Nel 2014 sono state entrambe per breve tempo sotto controllo dei cosiddetti 'separatisti filorussi'. Rispetto a nove anni fa però, il sentimento è cambiato: quasi nessuno oggi si sente russo o vorrebbe tornare a riunirsi con Mosca.

L'essere russofoni non è una specificità dei soli abitanti del Donbas, è una condizione che tocca milioni di persone in tutto il Paese, da Dnipro a Odessa a Kharkiv. Ma qui, lontani dall'ovest e dalla capitale, tutto sembra essere tornato indietro di trent'anni. Industrie, fabbriche dismesse, case alveari, miniere. "Dovunque ti trovi a Sloviansk sei in periferia" dice una donna ridendo.

Le strade vuote nella regione del Donbas

Valentina vive in uno scantinato di Kramatorsk da otto mesi. Ha due figli: una è a Kyiv ed è una volontaria, l'altro non lo sente più da anni, è a Mosca ed è scappato perché era un sostenitore delle milizie separatiste.

"La mia casa era stata bombardata in mezzo agli scontri tra esercito ucraino e separatisti, poi io e mio marito l'abbiamo ricostruita, ma da quando è scoppiata la guerra ho paura a starci dentro, preferisco stare nello scantinato". Insieme a lei una ventina di gatti. L'odore, misto a umidità e urina, ti entra nelle narici. Scatolette, sacchi di cibo per animali, conserve, vestiario e una torcia elettrica, un fornellino a gas per scaldare il cibo, mobili vecchi accantonati, vestiti sparsi in giro, mucchi di altri oggetti.

"Mio marito è morto nel sonno, nel nostro letto, poco prima dell'invasione, ed è stato fortunato perché così non ha visto questo inferno. Ogni tanto lo sento ancora in casa, mi chiama, io sorrido, gli rispondo ma poi mi rendo conto che non c'è più".

I suoi occhi diventano lucidi. "Vedi, c'è chi è ottimista nella vita e pensa che tutto vada per il meglio, poi c'è chi è pessimista. E poi ci sono i realisti, e io sono una di loro e vedo le cose per come stanno. Né belle, né brutte". Valentina aspetta la primavera perché così le sue piante e il suo pesco rifioriranno.

La situazione di città e villaggi del Donbass

"È questo il mondo russo? Le bombe?". Un uomo si avvicina sulla piazza antistante il comune. Ha una settantina di anni, un paltò grigio e porta un sacchetto bianco in una mano. "Lei sa chi è il generale Suvorov" chiede. Il Conte di Suvorov, principe ed eroe nazionale russo, era un famoso generale del '700. Il vecchio uomo è convinto che le bombe che cadono sulla città le tirino i soldati ucraini. Ed è



convinto che i russi vinceranno, perché "sono gli eredi delle strategie del grande generale". Negare la realtà, piegarla, per vedere quello che non esiste.

"Chi ancora oggi vede nella Russia una continuazione dell'eredità sovietica e un modello ha solo barattato la mancanza di libertà per una patata" dice un rappresentante di una ong locale, Sos Kramatorsk. Una luce bianca si alza improvvisamente nel cielo. Dopo una ventina di secondi un boato. Un altro missile russo intercettato.

Russkiy mir, il mondo russo, esplode nei cieli del Donbas.

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