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Photo du rédacteurMario Salis

La responsabilità della propaganda russa nei crimini commessi in Ucraina





Oltre quattordici mesi di combattimenti stanno facendo gradualmente emergere le responsabilità dei funzionari russi sui numerosi crimini di guerra commessi dall’esercito di Mosca in Ucraina. Lo scorso 17 marzo la Corte penale internazionale ha emesso due mandati di arresto verso Vladimir Putin e Maria-Lvova Belova, coinvolta nella deportazione di migliaia di bambini ucraini in Russia.


Un aspetto sottovalutato è quello svolto dalla propaganda russa nel costruire una narrazione genocidaria nei confronti degli ucraini. Molti addetti ai lavori si chiedono, invece, se i principali volti della macchina propagandistica russa potranno, un giorno, essere processati secondo i principi della giurisdizione universale. In sintesi, se i cosiddetti giornalisti o blogger che propagano le violente posizioni del Cremlino siano protetti dalla libertà di parola oppure siano, al contrario, dei facilitatori rispetto ai crimini d’odio commessi dall’esercito russo nelle zone occupate.

È però almeno dal 2013, dalle proteste di Euromaidan e la successiva invasione ibrida russa in Crimea e Donbas, che la propaganda russa ha assunto un ruolo rilevante nel conflitto russo-ucraino. In questo senso, la diffusione dell’odio verso l’Ucraina studiata a tavolino nel Cremlino, propagata nei media statali e calata nelle case dei cittadini russi sembra essere qualitativamente diversa rispetto ad alcune tendenze presenti, ad esempio, nell’Unione Europea.


The Reckoning Project è un’iniziativa di alcuni giornalisti e ricercatori il cui scopo è non far cadere nell’oblio l’esperienza delle vittime della guerra in Ucraina. È stata fondata nel 2022 da Janine Di Giovanni, giornalista esperta di diritti umani tra le più affermate al mondo, con esperienza in zone di conflitto come Bosnia, Ruanda e Medio Oriente, e dal ricercatore della John Hopkins University di origini ucraine Peter Pomerantsev, autore di Nothing is true and everything is possible and This  propaganda.

Pomerantsev, che si riferisce al regime putiniano come a una «dittatura postmoderna», ha dedicato anni di studi alle «black PR» del Cremlino e alla loro distorsione della verità. Già nel 2014 sottolineava sul The Atlantic come Putin stesse rivoluzionando la guerra d’informazione. Un esempio fu l’invenzione retorica nei media della Novorossiya, un termine zarista usato per definire la regione sud-orientale dell’Ucraina nel Settecento e mai utilizzato nemmeno fra i cittadini ucraini con preferenze politiche filorusse e/o separatiste fino a quell’anno.

Durante l’attacco ibrido della primavera 2014, invece, divenne un termine chiave utilizzato dalla propaganda russa per creare artificialmente una narrazione per cui vi fossero forti istanze indipendentiste in Ucraina, dovute a un retaggio storico anti-ucraino, smentite dai fatti in molte delle città che avrebbero dovuto formare questa entità politico-sociale. Tuttavia gli abitanti di Odessa, Kharkiv, Dnipro e Zaporizzja chiusero la porta in faccia a questo tipo di revisionismo storico. 

Questo nonostante le televisioni russe fossero fruibili, in via satellitare, in praticamente tutto il territorio ucraino (ed erano fra i canali più seguiti anche fra la diaspora ucraina all’estero). Sulle stesse reti in cui gli ucraini seguivano le telenovelas o i reality show russi, cominciava a germogliare il seme della propaganda politica anti-ucraina.

Negli otto anni che hanno separato gli eventi del 2014 e quelli del 2022, infatti, la propaganda russa a tutti i livelli si è concentrata soprattutto verso una ricostruzione parziale e tendenziosa del legame storico fra i due paesi, e al più attaccando il regime «nazista» di Poroshenko e Zelensky attraverso la fabbricazione di notizie false e manipolatorie. 

Gli ucraini favorevoli a Mosca come Viktor Medvedchuk, oligarca e parente acquisito del presidente russo, così come gli elettori del suo partito (l’OPZZ ), non erano visti di certo come dei nemici. Al contrario, erano loro i «veri ucraini», ostaggi dei «nazisti di Kyiv» secondo la narrazione della televisione statale e dei media controllati dal Cremlino, mentre quelli gli altri ucraini erano «russi impossessati dal demonio».

Il livello di violenza della propaganda russa ha compiuto un salto qualitativo in seguito al 24 febbraio dello scorso anno. Ciò era riscontrabile dal discorso di Putin stesso, precedente l’invasione. In esso veniva negata qualsiasi tradizione, identità e statualità ucraina indipendente e legittima. 

L’ostilità dei conduttori televisivi russi, i “Goebbels del Cremlino” come vengono definiti in Ucraina, è aumentata in seguito al presunto tradimento dei russofoni delle aree sud-orientali, che dal primo giorno si sono schierati in maggioranza con il proprio popolo – distruggendo così il mito del Cremlino sulle due Ucraine inconciliabili. Una reazione inaspettata per Mosca. Essa ha generato una rabbia irrazionale all’interno degli apparati di propaganda, fino ad allora impegnati in una manipolazione fredda e asettica Così sono arrivati a reti unificate l’incitamento all’odio e ai crimini più efferati verso tutti i civili ucraini.

Ciò è stato evidente già a inizio aprile 2022. Poche ore dopo la scoperta dei massacri di Bucha e Irpin’, sulla principale agenzia di stampa russa RIA Novosti veniva pubblicato l’articolo di Timofey Sergeytsev Cosa la Russia deve fare con l’Ucraina. Il “progetto” consisteva nella «de-ucrainizzazione» forzata nell’arco di trent’anni del paese invaso, attraverso repressione, distruzione della cultura e dei nemici politici. Da più parti è stato definito un manifesto degli intenti genocidari del Cremlino. Forse per la prima volta era lampante come questi partissero dagli stessi media russi, non solo da Putin e dai funzionari politici e militari del governo.

Non era di certo un caso isolato. Ha dato, al contrario, il via ad un filone propagandistico sempre più violento. Nel maggio del 2022, sul canale statale Rossija 1 il membro della Duma Aleksey Zhuravlyov incitava a «rimodulare le menti degli ucraini», anche se un effetto collaterale di ciò sarebbe stata la «distruzione di un 5% della popolazione, diciamo 2 milioni di persone» definite come «incurabili».Un ospite del programma Solovyov Live, probabilmente il talk show più influente in questo senso, auspicava una deportazione ancora maggiore di ucraini in Russia al fine di «risolvere il problema demografico».

Le ragioni per cui molti russi, soprattutto quelli più anziani e con canali informativi limitati, seguono la martellante propaganda della televisione e stampa statale sono stati già ampiamente analizzati. Senso di impotenza, nostalgia sovietica e volontà di revanscismo dopo i selvaggi anni Novanta, in seguito ai quali quella che era per lo meno la seconda potenza globale si è ritrovata a soffrire fame, miseria e aumento vertiginoso della criminalità. 

È stato pure già osservato come più che mirare a conquistare le menti, la propaganda russa sia verso l’interno che - soprattutto - verso i paesi esteri punti a insinuare un costante dubbio su una verità che diventa per definizione inarrivabile, visione tipica del relativismo postmoderno contemporaneo.

Proprio per questi motivi, la manipolazione per direzionare l’odio e il rancore verso gli ucraini è potenzialmente più pericolosa e carica di conseguenze pratiche rispetto ad altri contesti.Come scrive Julia Davis in un report per il Center for European Policy Analysis, non bisogna cadere nella consolante tentazione di considerare il linguaggio d’odio della televisione statale russa come rivolto unicamente al pubblico domestico. «Gli sfoghi della macchina della propaganda hanno spesso prefigurato o giustificato gravi atti di violenza di Stato contro l'Ucraina, tra cui l'assassinio di massa di civili e la deportazione dei cittadini ucraini».

Come hanno osservato numerosi analisti, l’Ucraina – soprattutto in una prima fase – ha vinto la information warfare. Tuttavia, la propaganda del Cremlino è riuscita comunque a creare, soprattutto attraverso i social media, una quinta colonna filorussa in Occidente, che comprende anche parte della diaspora russa. Gli effetti sono maggiormente visibili nel Sud del mondo rispetto ad Europa e Stati Uniti, ma anche in Occidente hanno generato un clima di scetticismo di una parte dell’opinione pubblica e persino di alcuni addetti ai lavori. Ne è un esempio la negazione di default dei crimini di Bucha, di cui molti giornalisti, anche in Italia, non si sono scusati dopo un anno di prove schiaccianti che sono emerse da inchieste giornalistiche e indagini indipendenti.

Da un lato, la propaganda russa si è evoluta in questi quindici mesi di guerra. La situazione militare ha costretto ad ammettere alcuni fallimenti sul campo, dall’altra queste “concessioni” sono state controbilanciate da un vertiginoso aumento del volume di odio dei propagandisti, che ha portato alla legittimazione totale degli attacchi verso i civili e dei crimini di guerra commessi dall’esercito di Mosca. Una delle propagandiste di punta del Cremlino, la caporedattrice di Russia Today e Sputnik Margarita Simonyan, ha ammesso che una sconfitta della Russia potrebbe significare un’imputazione all’Aia per chiunque graviti intorno al Cremlino. Implicitamente, è un riferimento che comprende i propagandisti di Stato.

Secondo Pomerantsev una possibile incriminazione dei propagandisti russi apre a una serie di domande filosofiche: «Che cosa sono i media? Che influenza hanno? Perché qualsiasi propagandista potrebbe obiettare: chi è la vittima delle mie parole? E non sarebbe facile dimostrarlo».In un editoriale sul Guardian, l’accademico britannico fa due esempi di incriminazione per propaganda genocidaria: l’editore del quotidiano nazista e antisemita Der Stürmer Julius Streicher e i giornalisti della radio ruandese Radio Mille Collines.


Eppure, non è tutto così semplice. Streicher fu condannato dal tribunale di Norimberga perché era anche un decisore politico (era il gauleiter della Franconia), mentre il direttore della società radiofonica del Reich Hans Fritzsche, non meno violento nelle sue arringhe antisemite, fu trovato non colpevole. Allo stesso modo, i conduttori radiofonici in Ruanda si sono resi responsabili di veri incitamenti al genocidio («avete dimenticato alcuni nemici, le fosse non sono ancora colme, tornate indietro»). Una retorica genocidaria, come ricorda Philippe Sands, direttore del Center on International Courts and Tribunals presso l'University College di Londra, non è ancora, nel concreto, un incitamento al genocidio.

Per Julia Davis, parole come quella della professoressa dell’Università di Mosca Elena Ponomareva per cui «bisogna lasciare la moralità da parte, abbandonare la componente umana per fare la cosa giusta», che incitano i soldati russi a un comportamento ancor più cruento in Ucraina, non avrebbero difficoltà a essere interpretate nelle aule di un tribunale internazionale. Pomerantsev risponde che dimostrare come i propagandisti abbiano fatto parte del processo genocidario non sarà facile, anche perché questi ultimi saranno difesi da ottimi avvocati. La strada per definire la responsabilità dei propagandisti di fronte alla giurisdizione universale è di certo lunga ma, in ogni caso, non è un vicolo cieco.

Immagine in anteprima: il giornalista e conduttore televisivo russo, Vladimir Rudol'fovič Solov'ëv, conduttore del programma Domenica sera con Vladimir Solov'ëv, che va in onda sul canale televisivo Rossija 1 – frame video ABC via YouTube


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