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Photo du rédacteurMario Salis

Tutte le bugie di Putin e la guerra che vuole solo lui




Nella città di Ivano-Frankivs'k, ovest dell'Ucraina, l'inviato di un telegiornale chiede a una donna: "Voi sapete che cosa fare? Come nascondervi in caso di attacco aereo?". Disarmante la risposta: "Che cosa posso fare? Sono venuta da un villaggio lontano". In un altro punto della città, per la strada, i volontari e la protezione civile insegnano ai bambini a riconoscere le bombe, in modo che evitino di toccarle se vi si imbattono durante un gioco o una passeggiata. La foto della bambina che striscia rasoterra per allenarsi a proteggersi ha fatto il giro del mondo. C'è aria di guerra in Ucraina, e la guerra non è eroismo, è sofferenza. Quando si legge che l'Ucraina è soltanto "un confine", che quello ucraino non è un popolo, si dovrebbe guardare a volo d'uccello a ciò che succede in tutta l'Ucraina oggi. Le stesse scene si ripetono a Kyiv, a Kharkhiv, a Odessa. Si ripetono sulle rive del Dnepr e del Dnestr. L'attesa dell'attacco è già un attacco, perché mina la tranquillità della vita quotidiana. Il 2022 è iniziato con centinaia di allarmi bomba (falsi) nelle scuole e nei negozi in tante città. In varie occasioni sono state evacuate, nello stesso momento, le scuole di un'intera città. Gli allarmi provenivano da "paesi confinanti", ha fatto sapere l'intelligence. Era ancora il periodo in cui Putin, dal Cremlino, assicurava che non avrebbe fatto niente.

Dalla calma apparente alla presa del Donbass

Tutto il mondo attendeva l'escalation e si aggrappava ai frenetici incontri, al telefono o dal vivo, tra ministri e capi di stato. L'escalation è arrivata ed è stata fulminea. Il 15 febbraio la Duma ha approvato una risoluzione per chiedere a Putin di riconoscere le repubbliche autoproclamate. Il 16 febbraio, con una situazione in Donbas non dissimile da quella degli ultimi anni, quindi quasi tranquilla ma con diverse violazioni del cessate il fuoco, Denis Pushilin e Leonid Pasechnik, capi delle repubbliche autoproclamate di Donetsk e Luhansk, hanno registrato (e tenuto per sé) un filmato nel quale ordinavano l'evacuazione per anziani, donne e bambini e, agli uomini adulti, di non lasciare assolutamente i territori occupati. Il 17 febbraio il Donbass si è svegliato con l'attacco a un asilo di Stanytsia Luhanska, cittadina vicino a Luhansk controllata dallo stato ucraino. Per miracolo i bambini sono rimasti illesi (erano in un'altra aula) ma due maestre sono rimaste ferite. La giornata è proseguita con un'impennata di azioni militari in Donbas, come non si vedeva da anni. Il 18 febbraio è stato colpito un convoglio umanitario delle Nazioni Unite che aveva consegnato aiuti alla popolazione di Luhansk. Lo stesso giorno Pushilin e Pasechnik hanno diffuso i loro video: erano già pronti i primi pullman. Il mondo ha assistito all'evacuazione verso la regione russa di Rostov. La Russia ha promesso accoglienza e 130 dollari a testa. Il 19 febbraio sono stati diffusi video che dimostravano che i bambini e le donne avevano dormito al freddo nei pullman e nessuno aveva dato loro da mangiare. Sempre il 19 alcuni evacuati hanno provato a fare ritorno in Donbass da soli.

Il 21 febbraio Putin ha ricevuto un parere positivo dal consiglio di sicurezza e ha avviato l'iter del riconoscimento delle due repubbliche autoproclamate, non prima d'aver impartito una lezione di storia riveduta e (s)corretta a modo suo, piena di hybris verso un popolo che si è ostinato, in diretta mondiale, a definire inesistente e inventato. Subito dopo i militari russi sono entrati in Donbass ufficialmente. Il 22 febbraio la Duma ha dato il via libera al riconoscimento dei due stati, basandosi non sui confini del territorio occupato, ma su quelli delle due regioni ucraine di Donetsk e Luhansk. Ciò significa che, fin d'ora, l'esercito russo potrebbe impadronirsi militarmente di una fetta di Donbas molto più ampia di quella che, attraverso le repubbliche autoproclamate, non era riuscito a destabilizzare nel 2014. Come risponderà l'Ucraina? In teoria non potrebbe non difendere il suo territorio. Ma questo significherebbe guerra aperta tra Ucraina e Russia. Intanto, la sera del 22 febbraio sono stati registrati movimenti anomali delle truppe dislocate in Repubblica di Belarus, tra cui squadre specializzate nell'incursione. La frontiera tra Belarus e Ucraina è quella più comoda per raggiungere Kyiv.

L'ingresso al più presto nell'Unione europea

Contemporaneamente, nelle città ucraine ci si aspetta di tutto. Perché, se il punto di vista del Cremlino è che l'Ucraina non è mai esistita se non da Lenin in poi, il popolo ucraino è un'invenzione, l'Ucraina è sempre stata russa (tutte falsità storiche facilmente smentibili, a partire dal fatto che la parola "Ucraina" compare sulle carte geografiche ben prima di Lenin e ben distinta dall'Impero degli zar), l'unica conseguenza è impadronirsi di tutta l'Ucraina. Del resto sono molteplici le linee possibile di attacco. Dal Mar Nero, dalla Repubblica di Belarus, ovviamente dal Donbass. O tutte insieme. Gli stati che conoscono la Russia più da vicino, come quelli baltici, non si sono sorpresi del tono vetero-imperialista di Putin in diretta mondiale e hanno immediatamente offerto all'Ucraina di attivare la procedura per entrare nell'Unione europea. Questo è anche l'orientamento di tutti i partiti liberali in Europa. Ma si tratta di una procedura lunga, che poteva essere pensata e praticata opportunamente nel 2014, ai tempi dell'annessione della Crimea e dell'occupazione del Donbass. Meglio tardi che mai, ma non c'è tempo; altre soluzioni vanno cercate prima. Si prepara un pacchetto di sanzioni durissime, che colpiranno direttamente i parlamentari della Duma e forse anche il sistema bancario più legato al Cremlino, tra cui la Vneshtorgbank, di cui è principale azionista il governo russo e il cui vice presidente Mikhail Volkov il 17 e il 18 febbraio era a Milano e Genova per partecipare a seminari con i governatori Fontana e Toti. E probabilmente bloccheranno l'importazione di gas e petrolio dalla Russia, il modo più rapido per colpire il portafogli degli oligarchi, legati a doppio filo con Putin.

Putin e il mondo che non c'è più

L'imprevedibilità delle intenzioni di Putin è dovuta al fatto che l'Europa è cambiata per tutti tranne che per lui. Da una parte il principio di cooperazione e la pace. Nessun francese e nessun tedesco sani di mente immaginerebbero oggi una guerra tra i loro paesi. Dall'altra parte le retoriche figlie dell'impero, del Patto di Varsavia, di un mondo che non esiste più, ma al quale Putin si aggrappa disperatamente perché, se non mostrasse il pugno di ferro verso l'esterno, perderebbe il consenso interno più radicato, più periferico, più fidelistico. L'altro consenso, invece, è sulla via di perderlo definitivamente. Nelle grandi città russe votano sempre meno per il suo partito. Una generazione digitale s'informa sempre di più in inglese con Instagram e sempre meno in russo con la Tass. Tuttavia Putin prosegue la politica aggressiva russa messa in atto dalla dissoluzione dell'Urss, in continuità con una prassi militare che, a volte, differiva dalle intenzioni del predecessore Eltsin. Cominciando dalla Georgia e dalla Moldova, proseguendo in Tagikistan e nel Caucaso, comprese due guerre "interne" in Cecenia, e terminando con l'Ucraina.

Alcuni sperano che Putin, preso il Donbass, si accontenti di sedersi a un prossimo tavolo da una posizione di assoluta forza. Ma è più probabile che Putin non si voglia fermare al Donbass. Il presidente è un prodotto dell'élite spionistica e militare che progettò il colpo di stato contro Gorbaciov per evitare la dissoluzione dell'Urss e, in quanto tale, prosegue la restaurazione, seppur decomunistizzata. L'ideologia putiniana è un misto di ancoraggio alla tradizione (pseudo-religiosa), élite di potere simile a una corte, economia oligarchica e legata col potere politico (le fortune degli oligarchi dipendono dalla volontà del Cremlino), istituzioni chiuse alle opposizioni, informazione strettamente controllata dallo stato, eliminazione dei dissidenti anche se si trovano all'estero. L'ideologia putiniana assomiglia al fascismo e all'espansionismo.

La guerra in casa

In Europa e negli Stati Uniti tutti vogliono evitare la guerra. Intanto in Ucraina la guerra ce l'hanno in casa. Non da oggi, ma ora un po' più di prima. Non possono far altro che prepararsi a difendersi. E così si insegna ai bambini a riconoscere le bombe, agli adulti a scappare nei rifugi. Si richiamano i riservisti. Ma si tenta di restare normali. Restano aperti i negozi, i ristoranti, i cinema. La compagnia aerea di bandiera promette voli aggiuntivi per sopperire alla fuga di Klm, Air France e Lufthansa che, una dopo l'altra, sospendono i collegamenti.

Donetsk, 2014

L'Ucraina è un paese multietnico e multilingue. A Cernivtsi, per dire, sono considerate lingue autoctone l'ucraino, il russo, il romeno, il polacco e l'yiddish. La distinzione tra russofoni e ucrainofoni non significa granché: non è detto che i primi siano anche russi e filorussi, anzi. Il popolo è molto più unito di quanto si crede. E, come per la volontà di aderire alla Nato, in pochi anni schizzata dal 30% al 58%, cresce in queste ore, tra chi parla russo, la voglia di abbandonare la lingua dell'aggressore e migliorare l'ucraino. La sconfitta morale di Putin sta in questo: il suo agire lo porta a farsi detestare dal popolo che chiama ossessivamente "fratello".

Da internet riaffiora una vecchia fotografia. Donetsk, 5 marzo 2014. Mentre la presa della Crimea è in pieno svolgimento (la dichiarazione d'indipendenza arriverà qualche giorno dopo), nella città più grande del Donbass migliaia di persone manifestano con le bandiere ucraine e dell'Unione europea, mostrando al mondo che tutta l'Ucraina ha scelto di sostenere Euromaidan e non ne vuole più sapere di subire l'influenza russa. 




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